Le Pievi della Romagna

Il sistema pievano nel territorio della Romagna si formò, parallelamente al processo di cristianizzazione, fino all’alto medioevo. Con la parola plebe, in uso fin dal mondo antico, si intende la fascia di popolazione che pur libera, godeva di diritti limitati in una vasta accezione di termine. Inizialmente si intendeva la comunità cristiana battezzata il chè comporta che sul territorio – e la Romagna con le centuriazioni romane aveva una diffusa popolazione – fossero disseminati luoghi di culto con fonti battesimali.
Dato che i redditi delle chiese venivano in gran parte drenati dal papato (fa eccezione Ravenna), nelle campagne si decise di creare delle strutture più piccole, alcune con fonte battesimale, con un prete (pievano), che non avessero unicamente funzione dottrinale ma presso le quali si formassero punti di aggregazione per la plebe del territorio circostante; tra le attività che vi si svolgevano ci poteva essere anche la presenza di un notaio per redigere documenti o un mercatino dove si scambiavano merci o si compravano beni prodotti in altre zone.
Molte di queste pievi avevano pianta a tre navate, alcune con cripta sotto presbiterio e fonte battesimale vicino all’ingresso con orientamento E-O; erano dotate di campanile, a pianta quadrata, che, in un territorio di pianura, era utile punto di riferimento. I materiali da costruzione erano in genere i mattoni per i muri ma spesso anche materiali di recupero di edifici più antichi anche ad uso cultuale: i mattoni stessi, colonne e capitelli antichi erano i più usati, antiche pietre miliari trovavano i più svariati usi.
Permettete una digressione nella contemporaneità: siamo andati a visitare le pievi subito dopo la grande alluvione del ’23; spesso per arrivarci si son percorse strade dal selciato pulito ma ai bordi cumuli di masserizie infangate, case segnate dal livello del fango con i giardini come lastricati dal limo che seccando si spaccava in piastrelle di tufo dai bordi arricciati, campi e frutteti trasformati in lande desertiche interrotte da isole fortunate lambite dalla desolazione: il cuore si è gonfiato e dagli occhi è partita una lacrima.

Bibliografia
M. Molinari – Corso Università Aperta: La storia che cammina.
P. Novara – La Romagna delle Pievi – ed. Il Ponte Vecchio

Pieve di San Cassiano in decimo

Il nome deriva dal fatto che la pieve dista 10 miglia da Forlimpopoli.
Un corpo ad una sola navata con il campanile che sorge a pianta quadrata dal volume della Pieve ed una ampia abside semicircolare all’interno e poligonale all’esterno. Le pietre miliari sono sparse nella chiesa a fare da supporto per il leggio, da segnacolo accanto al cero pasquale, da supporto per un altarino laterale: alle pareti brani di marmi di provenienza bizantina ed alto medievale. L’acquasantiera è un vissuto marmo romano. Fuori, il tessuto murario con mattoni di recupero, ci dice che i muri del campanile sono a suo tempo cresciuti con quelli della pieve ed inglobano di tutto: sezioni di capitelli e una statua di provenienza romana, ciotole in ceramica policroma alla maniera di Pomposa tra tra gli archi delle finestre del campanile.
I restauri fatti in tempi via via più recenti hanno spogliato l’interno dalle sovrapposizioni barocche scoprendo intonaci dipinti, riaprendo finestre, consolidando il campanile e si può dire che l’alluvione più recente non è stata l’unica nè la più devastante nel corso dei secoli.

San Pietro in Trento

A sud-ovest di Ravenna, tra i due fiumi Montone e Ronca , si trova la Pieve di San Pietro in Trento, la cui la prima citazione documentale risale a X sec. Il toponimo deriva dalla posizione della chiesa: al trentesimo miglio della centuriazione in quel di Forlì.
Il campanile è posto all’esterno a nord-est dell’abside poligonale. La pianta della basilica è ha tre navate; l’abside è circolare e col presbiterio rialzato per la presenza di una cripta con soffitti a volta eretta da quattro pilastrini con capitelli in materiale di recupero; in occasione della nostra visita gli arredi tardo medievali erano stati riposti sulla zoccolatura tutta intorno alle pareti: per gli eventi alluvionali si è cercato di salvaguardali per quanto possibile. Il campanile e l’abside, distrutti per eventi bellici, furono ricostruiti dopo la II Guerra Mondiale ribassando il pavimento rispetto al piano di campagna: in quest’ambito si fecero degli scavi e si ritrovarono inumazioni ma non resti di strutture precedenti. L’interno è in penombra in quanto le finestre sono poche e di ridotte dimensioni e si notano soprattutto in zona absidale; particolari i pilastri con lesene angolari. Anche all’esterno nel muro della navata centrale in alto particolare è la decorazione ad arcatelli pensili.
L’altare moderno è costituito da un piano posto su un cippo adattato del VI sec.

Santa Maria in acquedotto

A nord-est di Forlì si trova la Pieve di Santa Maria in Acquedotto, uno degli edifici pievani di più antica fondazione tra il corso del Fiume Ronco e le strada che collega Forlì e Ravenna, lungo la quale correva l’acquedotto traianeo che portava l’acqua potabile dalla colline forlivesi a Ravenna, da cui il toponimo.
A lato della facciata si trova una colonna in marmo, migliario probabile della via Emilia con scrittura capovolta risalente al IV sec. d.C.; da un’assegnazione di terreni tra privati abbiamo una citazione documentale del X sec.
Nel XVI sec, l’edificio era in precarie condizioni per l’innalzamento dell’acqua di falda che ne rendeva impraticabile la frequentazione e si decise il restauro che comportò un notevole innalzamento (ca 3 m) del pavimento sul piano di campagna ed il conseguente innalzamento dei paramenti e del tetto, una modifica delle finestre e le perdite degli affreschi risalenti al XIII sec; altri interventi successivi hanno portato a scavi in esterno nei quali si sono trovavate grosse murature interrotte attribuite ai resti dei paramenti di sostegno dell’acquedotto.
L’attuale edificio presenta in facciata sei lesene ed un’apertura con arco a tutto tondo che inscrive una bifora, il tutto sormontato da una croce in cotto. Sul retro dell’abside, in alto, si notano mattoni con il fianco esposto modellato a facce e maschere. Deliziosa la doppia colonnina annodata della prima bifora del campanile.

San Pietro in Silvis

La pieve sorge presso l’incontro di direttrici che collegavano Faenza, Bologna e Ravenna presso Bagnacavallo.
Scavi hanno messo in evidenza resti di un edificio cultuale del II sec. d.C.
La citazione documentale più antica risale al IX sec e il toponimo ci dice che nell’area attorno doveva esserci un fitto bosco. La pianta e gli alzati interni della pieve sono molto simili al quelli di San Pietro in Trento: impianto basilicale a tre navate, abside circolare e presbiterio rialzato a dare spazio ad un a cripta seminterrata, l’altare anche qui è un cippo con decori vegetali. All’ingresso della cripta un ambiente a volta a crociera è retta da un capitello corinzio di reimpiego. L’abside esterna è poligonale e sopra al muro che corrisponde all’arcone absidale  troviamo un inserto di mattoni manubriati a formare una croce.
I pilastri interni sono cruciformi e gli scavi hanno restituito brani di un ciborio; la parete di facciata presenta una suddivisione in tre superfici con lesene: sulla porta principale circondata da elementi marmorei di reimpiego vi è una bifora con colonnina marmorea. Dagli scavi sono emerse lastre e capitelli: formano un lapidario fissato alle murature interne delle navate laterali.
La struttura muraria originale (una parte è stata stuccata nel XX sec.) si presenta con stuccatura a malta chiara senza laterizio pesto con la compresenza di ghiaino colorato. Internamente doveva essere affrescata e i resti ci portano dal XIII al XVI sec.
All’esterno su una colonna di reimpiego è posta una croce viaria.